giovedì 2 aprile 2015

LA STORIA D'ITALA 1945-2015

Un vagone di Carbone l'Anno per ogni emigrante.
http://parma.repubblica.it/dettaglio/quando-i-clandestini-eravamo-noi-e-la-romania-non-voleva-gli-italiani/1617963
Quando i clandestini eravamo noi

e la Romania non voleva gli italiani

Il ministero dell’Interno nel 1942 cercò di fermare gli espatri a Bucarest dove i nostri connazionali erano malvisti. A Bombay chi aveva a che fare con la prostituzione veniva chiamato "italiano". Documenti di un'epoca nella quale a varcare le frontiere erano i poveri del nostro Paese, a volte criminali, spesso criminalizzati

di Stefania Parmeggiani
Quando i rumeni eravamo noi… E le cose andavano più o meno come oggi, solo a ruoli invertiti. Gli italiani andavano a Bucarest in cerca di fortuna, per lavorare come falegnami, nelle miniere o nelle fabbriche. Avevano un permesso di soggiorno in tasca, ma alla scadenza restavano oltre confine. Clandestini appunto. Come erano molti rumeni in Italia prima del loro ingresso nell’Unione Europea. Non graditi, come lo sono oggi che vengono guardati con rabbia e sospetto.

A metà del ‘900 non erano gli italiani a considerare i rumeni criminali, ma i rumeni a controllare le dogane per non essere invasi dagli italiani. I nostri connazionali creavano non pochi problemi: violenti, indisciplinati. La loro storia, fatta di stracci e pregiudizi, si è intrecciata con i tentativi italiani di evitare che gli indesiderabili lasciassero i confini nazionali e andassero a creare problemi alla dittatura amica del generale Ion Antonescu.

Cancellati dalla memoria di un Paese, facile a rovesciare i pregiudizi su altri, i problemi dell’emigrazione italiana in Romania escono dalla polvere degli Archivi di Stato grazie alla mostra “Tracce dell’emigrazione parmense e italiana fra il XVI e XX secolo”. Oltre cento documenti, molti gli inediti. Tra questi una lettera con il timbro del ministero dell’Interno (Il documento.tif) inviata il 28 agosto 1942 a tutti i questori del Regno, al ministero degli Affari esteri, al Governo della Dalmazia, alla direzione di polizia di Zara e all’alto commissario di Lubiana. Diramava un ordine preciso: evitare che gli italiani espatriassero in Romania.

Carmine Senise, uno dei partecipanti alla congiura del 25 luglio, l’ uomo che propose di fare arrestare Mussolini a Villa Savoia, fu anche il capo della polizia che stigmatizzò il comportamento dei connazionali: “La legazione in Bucarest segnala che alcuni connazionali, giunti in Romania a titolo temporaneo, non lasciano il Paese alla scadenza del loro permesso di soggiorno provocando inconvenienti con le autorità di polizia romene anche per il contegno non sempre esemplare da loro tenuto e per l’attività non completamente chiara dai predetti svolta”. La situazione lo preoccupava non poco: “Stante il crescente afflusso di connazionali in Romania si dispone che le richieste di espatrio colà vengano vagliate con particolare severità per quanto riguarda in special modo la condotta morale o politica degli interessati ed i motivi addotti, inoltrando a questo Ministero, Ufficio Passaporti, soltanto quelle che rivestano carattere di assoluta e inderogabile necessità”.


D’altronde che tra gli emigrati non ci fossero solo lavoratori in cerca dell’America, ma anche avventurieri con pochi scrupoli è storia risaputa e testimoniata, in questa mostra, da altre missive, denunce e lamentele. La più antica è una lettera del console italiano in India che nel 1893 informava la madrepatria come a Bombay tutti coloro che sfruttavano la prostituzione venissero chiamati “italiani”. Un’associazione di idee non certo lusinghiera.

I nostri connazionali, come tutti gli emigranti, non rappresentavano solo un problema di sicurezza, ma anche una risorsa economica, tanto che Mussolini, come testimonia una delle circolari esposte, vietò l’espatrio alla manodopera specializzata. Potevano partire solo operai semplici, braccia che rischiavano di finire nel tritacarne dell’immigrazione clandestina. Che esisteva allora come oggi. La mostra documenta una serie di espatri irregolari avvenuti tra il 1925 e il 1973: gli italiani arrivavano in Francia e in Corsica, ma anche in altri paesi, con permessi turistici e poi si fermavano ben oltre la scadenza, altri entravano con in mano un visto di transito, ma non lasciavano il paese in cui erano solo di passaggio. Altri ancora ottenevano passaporti falsi o raggiungevano l’America tramite biglietti inviati, ufficialmente, da parenti e amici. In realtà, una volta dall’altra parte dell’Oceano, ad attenderli erano agrari che li costringevano a turni di lavoro massacranti perché ripagassero, senza stipendio, il costo di quel viaggio della speranza. Anche questo “racket”, documentato con materiale del 1908 (Ministero degli Esteri pag. 1/2/3.tif), contribuisce all’affresco di un’epoca, non troppo lontana, in cui i rumeni – criminalizzati, non graditi o sfruttati – eravamo noi.

(14 aprile 2009)
La Stefania Parmeggiani che ha scritto questo articolo prima di scrivere altre scemenze dovrebbe ripassare un poco la Storia dell'emigrazione Italiana nel Mondo.


Cazzo, poveri, negli Anni quaranta cinquanta e sessanta lo eravamo quasi tutti, disperati non di certo.

Avevo diciannove Anni quando nel 1959 andai in Germania con la classica valigia di cartone a lavorare come manovale in una miniera di carbone.

Dieci Anni dopo ero dopo un tirocinio di tre anni di mare, dove imparai a sgozzare arringhe e merluzzi e dopo aver frequentato le apposte scuole tecnico –navali fui il primo Direttore di Macchina italiano di tutta la Flotta Mercantile Tedesca. 

Quando emigrai, per fuggire a un destino che sicuramente avrebbe fatto di me un semplice operaio senza tante possibilità di evolvere, la mia valigia era di cartone grigio perché costava poco e in tasca avevo 15 mila lire, povero si, disperato no, anzi, guardavo al futuro sicuro di diventare qualche cosa di più che un semplice operaio o manovale di miniera di carbone.

I milioni di Italiani che come me in lungi treni stipati nella terza terza classe lasciarono l'Italia, andavano a lavorare, non a delinquere come fa ora la delinquenza balcanica in Italia.

Fu anche grazie al nostro lavoro, che in Italia fiorì la piccola e media industria edile e l'artigianato, dal fabbro al lattoniere, dal muratore al falegname e quasi ognuno di noi si costruì la sua casa o si acquistò un pezzo di terra o un pezzo di uliveto.

L'Italia fiorì anche grazie alle nostre rimesse, con i benessere, specialmente negli ultimi vent'anni cominciarono a spuntare gli sciacalli e la delinquenza, prima balcanica e poi afro-araba.

Gli sciacalli d’Italia sono nostrani; costoro hanno la faccia di Mario Monti, di Prodi e di tutta la nomenclatura sinistroide italiana dal capo dello Stato in giù,  fino giù all'ultimo usciere comunale, sindacalista o piantone che sia.

Questi figli di puttana inventarono Equitalia e cominciarono a far man bassa di tutto quello che gli italiani onesti con il loro lavoro si erano costruiti dl 1945 in poi.

Gli zingari in Italia ci sono sempre stati; mi ricordo che da bambino vedevo le loro carovane girare per il Friuli; a quel tempo, alcuni facevano i giostrai, altri andavo a chiedere la carità come adesso, mentre altri ancora andavano dai parroci e chiedevano  se potevano pulire i candelabri della Chiesa; a lavoro eseguito  scioglievano il campo e andavano da qualche altra parte.

La criminalità balcanica venne dopo; arrivò quasi con il nuovo millennio a pari passo con quella afro-araba.

Tutto questo, tutta questa nefasta metamorfosi della Società Italiana  la dobbiamo alla delinquenza sinistroide e agli sporchi come Vendola, a loschi e oscuri figuri come Pisapia e Marino e i loro fottuti seguaci.

Prima di loro; queste cose in Italia non esistevano.

Ora gli italiani si stanno uccidendo dalla disperazione e molti, tanti, troppi rovistano nei cassonetti dell’immondizia in cerca di cibo.

Altri, spinti dalla fame e dalla disperazione, rubano un pezzo di pane e formaggio nei Discounter della Coop e se sorpresi sono subito denunciati e incarcerati per mesi,  dalla magistratura più faziosa, politicizzata e corretta, che l’Europa abbia mai visto, mentre, parallelo  a ciò; la delinquenza balcanica e afro-araba che delinque, ruba, terrorizza e uccide cittadini italiani non è quasi mai perseguitata e se, se la cava con pene lievi e irrisorie o non è perseguitata affatto.

In Italia il caos e la disperazione corrono rampanti per le strade del Paese.

I mascalzoni della politica italiana e pendagli da forca vari si scannano a vicenda per un paio di bottiglie di vino e fan man bassa di tutto quello che possono e trovano.

Noi emigranti e i nostri predecessori prima di noi perdio; non eravamo disperati; chi anche oggi emigra e lavora e si costruisce un futuro degno di vivere, lontano dal marciume che attanaglia e infanga la Repubblica Italiana non è disperato, momentaneamente non certo agiato si, disperato no.

I disperati sono gli italiani odierni che in balia dei mascalzoni e della delinquenza politica italiana, si uccidono perché lo Stato Italiano ha rubato loro tutto, anche la dignità, anche la speranza.

Perseguitati da Equitalia e taglieggiati, derubati e uccisi dalla criminalità balcanica e rumena della Boldrini e dalla delinquenza afro-araba della Kyenge i veri disperati sono i cittadini italiani attuali, non di certo noi, non di certo chi come me per non insozzarsi; semplicemente si rifiuta di rimettere piede nel cesso attuale che si chiama Italia.

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